Mauro Sosi, molto più che un semplice capitano.

In qualsiasi compagine – sia essa di livello professionistico o dilettantistico – si genera un ambiente che
abbia non tanto un bisogno sportivo, quanto anche di carattere umano, dei cosiddetti “uomini squadra”.
Gli stessi tecnici, spesso, si affidano a queste figure, una sorta di veri e propri allenatori in campo, oltre che
generali di truppa o elementi di raccordo tra lo spogliatoio, lo staff tecnico e a volte la società. L’uomo
squadra diventa ovviamente tale con il passare del tempo, con le partite accumulate, ma esiste in un lui
una predisposizione innata al comando, alla leadership. Spesso l’immagine dello stesso rifugge i bagliori
della notorietà, l’impatto visivo – e conseguentemente emotivo – della giocata, il suo è un modo di fare
operoso e pragmatico, di chi nell’ombra vede e – molte volte – provvede.
Tale preambolo prolisso non sia da considerare un esercizio retorico di carattere generale, in quanto è la
mera descrizione, dura e pura, di Mauro Sosi, classe 1987, da Venarotta, trapiantato, anima e cuore, da
diversi anni a Colli del Tronto. Capitano, leader dello scacchiere difensivo, esemplare negli interventi quanto
nei comportamenti tanto da ricordare con le dovute proporzioni ciò che Franco Baresi ha rappresentato nel
Milan a cavallo degli anni ottanta e novanta, un esempio di stile, di classe oltre che di bravura calcistica.
Esempio fulgido e lampante di quanto sto scrivendo è la prestazione di Castelfidardo, avversario osticissimo
e di blasone, nonostante qualche problema fisico accusato durante la preparazione.
Sosi, dunque, va annoverato tra le bandiere, quelle che hanno avuto come ultimo esempio in ordine
cronologico un certo Guido Crocetti. Uno di quei calciatori che raffigurano – per tempra e spirito –
l’iconografia non solo di una società ma di un paese. Con la speranza che il sodalizio con la nostra terra duri
ancora per diverso tempo.

Fabio Straccia

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